In un comunicato stampa le analisi e la posizione del Comitato per il “NO” di Abbadia
La riforma modifica molti articoli della Costituzione, ma non la stravolge, in continuità con le numerose proposte di riforma in discussione da decenni e in particolare con quanto emerso nella Commissione per le riforme costituzionali istituita dal Governo Letta nel 2013
La Commissione istituita dal Governo Letta si pose – correttamente – “l’obiettivo di offrire utili elementi conoscitivi e di riflessione per il Governo e per il Parlamento cui spetta il potere di iniziativa e di deliberazione”. La riforma attuale, invece, ha avuto un iter, certamente legittimo, ma d’iniziativa governativa. Anzi il cammino iniziale è stato di natura addirittura extra-parlamentare, frutto dell’accordo
Renzi-Berlusconi (Patto del Nazareno). Il dibattito interno al Pd è stato, come minimo, “drogato” da questo accordo che Renzi non ha mai messo in discussione, nemmeno quando Berlusconi si è sfilato. La Commissione istituita dal Governo Letta ha svolto un lavoro di carattere ricostruttivo prospettando le varie opzioni, ma nel quale sulle scelte di fondo da compiere venivano lasciate aperte più o meno tutte le strade.
Con riguardo alla forma di governo, ad esempio, si prospettavano tre possibili opzioni: a) la razionalizzazione della forma di governo parlamentare; b) il semipresidenzialismo sul modello francese; c) una forma di governo che cercasse di farsi carico delle esigenze sottese alle prime due soluzioni, che conducesse al governo parlamentare del
Primo Ministro. Con riguardo poi alla riforma del bicameralismo, tutti i componenti della Commissione si dichiararono d’accordo nel superamento del
bicameralismo paritario e nella trasformazione del Senato in camera territoriale, senza rapporto di fiducia con il governo. Ma sulla composizione di tale Senato sono state manifestate opzioni assai diverse: i suoi componenti devono essere eletti direttamente dai cittadini o dai Consigli regionali? Vi devono essere o meno membri di diritto (i Presidenti delle Regioni, ad esempio)? Tale Camera deve essere rappresentativa anche dei Comuni o soltanto delle Regioni? Senza dimenticare che, per citare le parole stesse del documento, “un’altra opinione, che ha raccolto consensi in Commissione, si è espressa per il monocameralismo unificando le due Camere “.
Quindi è assolutamente strumentale, sia con riferimento al metodo che al merito, sostenere che l’attuale riforma è “in continuità” con quanto concluse la Commissione istituita dal
Governo Letta. Altrettanto strumentale e volutamente semplicistico è mettere la riforma attuale in continuità “con le numerose proposte di riforma in discussione da decenni”; dalla bicamerale Bozzi (1985) a quella
D’Alema (1997), le proposte di riforma avanzate sono state, come è facilmente intuibile, le più varie: di tutto di più. Per chi volesse approfondire questo aspetto:
https://flore.unifi.it/retrieve/handle/2158/1005531/53216/C.%20Fusaro%20RTDP%202-2015.pdf (perlomeno da pag. 431).
La fine del bicameralismo
Falso. Il Senato, seppur ridotto di poteri e per numero di senatori, continuerà ad esistere, nello stesso Palazzo in cui si trova. Infatti il nuovo art. 55 della Costituzione reciterà: “Il Parlamento si compone della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. […] Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della
Repubblica e l’Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato”. Più correttamente si dovrebbe dire che si introduce un bicameralismo non paritario.
Il superamento del bicameralismo perfetto può anche essere largamente condiviso, ma una cosa è cambiare, un’altra è il come cambiare. E qui siamo di fronte ad un testo incomprensibile, in più parti lasciato a successive interpretazioni. Si poteva scegliere per esempio il modello, sperimentatissimo ed efficiente della Germania: i membri del Bundesrat sono vincolati al mandato ricevuto dai governi dei Länder di provenienza. In altre parole, devono votare come deciso dai loro Länder e così ne rispecchiano la volontà, ne sono espressione diretta, in modo da costituire un contrappeso federale e locale al potere centrale. Secondo la
riforma Boschi, invece, i senatori non hanno alcun vincolo di mandato rispetto alla regione di provenienza, quindi non ne esprimono le volontà: sono solo espressioni dello loro appartenenze politico-partitiche, ossia la tomba della presunta funzione di controllo che si vorrebbe attribuita. Tant’è vero che ci si è vergognati a chiamare il nuovo senato “Senato delle autonomie”.
L’approvazione delle leggi avrà un percorso molto più rapido
Molto opinabile. A parte le materie in cui il Senato mantiene funzione legislativa paritaria (“leggi bicamerali”), negli altri casi il Senato può proporre modifiche per una seconda lettura alla Camera e in molti casi la Camera, per approvare le leggi senza conformarsi al parere del Senato, deve poi riapprovarle a maggioranza assoluta dei suoi componenti (non basta quella dei presenti in aula). Sono facilmente prevedibili rimpalli e conflitti sulla tipologia a cui appartiene una proposta di legge, quindi sul suo iter. Si possono contare addirittura nove procedimenti diversi (i margini di classificazione non sono ben definiti). Questi i principali procedimenti legislativi previsti:
1. bicamerale paritario (come oggi);
2. monocamerale in cui il Senato può proporre modifiche a maggioranza semplice;
3. monocamerale in cui il Senato può proporre modifiche a maggioranza assoluta e la Camera le può approvare, ma anch’essa a maggioranza assoluta;
4. monocamerale in cui il Senato è obbligato all’esame;
5. monocamerale “a data certa”.
Il risultato va evidentemente nella direzione di una complicazione del procedimento legislativo: se sarà più veloce è tutto da vedere, sicuramente non è una semplificazione. La verità è che la velocità di approvazione di una norma non può essere legata al procedimento, ma alla volontà politica (come peraltro dimostrato in più casi, anche recenti; esempi: la
legge Fornero o il Jobs act sono stati introdotti in quattro e quattr’otto!).
Saranno modificati i rapporti tra Stato e Regioni con una più precisa individuazione delle reciproche competenze con l’effetto di diminuire l’elevatissimo contenzioso tra stato e regioni
Falso. La riforma toglie alle regioni molti margini legislativi e ne riduce l’autonomia (salvo per le Regioni a Statuto speciale) introdotta dalla riforma costituzionale del 2001. Che la modifica del Titolo V necessitasse di una revisione, è pressoché condiviso unanimemente, ma certo nessuno pensava allo svuotamento delle competenze regionali.
I membri passano da 320 a 100 e non saranno retribuiti
Parzialmente falso e di sicuro molto esagerato. I risparmi consistono nel fatto che i nuovi senatori (in quanto consiglieri regionali o sindaci) non saranno pagati per le loro funzioni senatoriali, ma avranno comunque le spese di trasferta a Roma dalle Regioni di provenienza e probabili forme di rimborso. Il personale di palazzo Madama che non resterà al Senato verrà trasferito. Si calcola ottimisticamente che il risparmio sulle spese oggi a carico di Palazzo Madama sarà di circa il 20 per cento rispetto alle spese attuali. Una riforma che avesse avuto come obiettivo il risparmio sui costi della politica avrebbe potuto dimezzare il numero complessivo dei parlamentari (sarebbero diventati 315 deputati e 150 senatori, totale 450) ottenendo risparmi molto maggiori. Con questa riforma i parlamentari stipendiati restano infatti 630 (i deputati), più i rimborsi e le trasferte a Roma dei 100 senatori.
Per la prima volta entra nella nostra Costituzione il principio di trasparenza che affianca i principi di buon andamento e imparzialità nell’organizzazione dei pubblici servizi
Entra per la prima volta, ma non è una novità. Infatti risulta già ampiamente presente nella legislazione ordinaria: l’art. 1 della legge n. 241/90 (modificata e integrata dalla legge n. 15/2005) stabilisce infatti che “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla legge”. A ciò si aggiunga che la dottrina ritiene che la trasparenza sia un principio costituzionalmente implicito, in quanto necessario ad assicurare l’attuazione dei principi costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, sanciti dall’art. 97 Cost.. In buona sostanza la modifica in questione è sostanzialmente superflua. Da iscriversi al capitolo repetita iuvant.
Cambia il quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica
Il nuovo meccanismo di elezione del Presidente della Repubblica:
– primi tre scrutini, 2/3 dell’assemblea, 487 voti
– tre scrutini successivi, 3/5 dell’assemblea, 438 voti
– dal settimo scrutinio, 3/5 dei votanti
Quindi, se dal settimo scrutinio in poi diminuisse il numero complessivo dei votanti, il quorum potrebbe scendere sotto 438 voti. Una differenza significativa, non così difficile da raggiungere, specie tenendo conto che con la legge elettorale della Camera approvata nel 2015 (Italicum) la lista che ottiene il 40% dei voti (o che vince al ballottaggio) ottiene 340 seggi alla sola Camera (cui si devono aggiungere i senatori appartenenti alla medesima forza politica).
Vediamo un po’ di numeri. Secondo una simulazione pubblicata su La Stampa e basata sull’attuale composizione dei consigli regionali, su 100 senatori (74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 nominati dal Presidente della Repubblica) 55 oggi sarebbero del PD. Ossia il PD avrebbe la maggioranza assoluta e non di poco: 395 su 730. Se a questi si aggiungono gli altri 10/15 senatori provenienti dall’attuale area di governo, si può arrivare a 420: già dal quarto scrutinio basterebbero una ventina di “responsabili” per eleggere i presidente a maggioranza politica. Ma è dal settimo scrutinio, quando basta la sola maggioranza dei votanti, che il partito più grande può far tutto da solo.
Al di là del meccanismo, il rischio di un cambiamento sostanziale del ruolo del Presidente della Repubblica è evidente: una sua maggiore politicizzazione e un suo significativo depotenziamento/neutralizzazione rispetto al Presidente del Consiglio. I senatori non saranno più eletti durante le elezioni politiche, ma in forma comunque diretta durante le elezioni regionali. Nel tentativo, vergognosamente esperito a tempo scaduto, di soddisfare la richiesta proveniente da più parti dell’elezione dei senatori a suffragio universale, si è confezionato un vero e proprio mostro: l’elezione “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri”. Innanzi tutto è una norma inserita nel posto sbagliato, ma… vabbè! Eppoi, come potrà realizzarsi questa “conformità” è del tutto oscuro allo stato attuale, lo dovrà stabilire una legge statale. Vedremo come si risolverà il conflitto con l’art. 121 Cost. (non modificato) che assegna alle regioni il compito di stabilire la legge regionale per l’elezione dei propri Consigli. Alla faccia della fine dei conflitti di attribuzione.
Aumentano anche i poteri della Corte Costituzionale, che potrà intervenire con un giudizio preventivo sulle leggi che regolano le elezioni di Camera e Senato
In realtà l’aumento dei poteri della Corte si riferisce solo al giudizio preventivo sulle leggi elettorali; il resto sono imposizioni di limiti temporali, che peraltro potrebbero anche causare problemi di interpretazione della norma qualora la Corte non li rispettasse. Comunque, il giudizio preventivo della Corte costituzionale sulle leggi elettorali non è un’innovazione banale e potrebbe avere conseguenze, sia sul piano teorico che pratico. Il giudizio preventivo oggi è previsto solo per gli statuti delle regioni ordinarie (art. 123 Cost.) ed è facile capirne la motivazione. Essendo la materia elettorale vitale per una democrazia, occorre essere molto scrupolosi. Il giudizio preventivo sarebbe obbligatoriamente astratto, cioè non si gioverebbe dell’esperienza applicativa (come fu per esempio per il Porcellum) e, poiché prodotto immediatamente dopo la decisione politica, potrebbe produrre anche gravi ripercussioni sui rapporti tra l’organo di giustizia costituzionale e il Parlamento. La Corte sarà quasi un organo politico?
Il nostro sistema politico/parlamentare sarà più stabile, più efficiente, più semplice e meno costoso
Potenzialmente falso. La maggiore stabilità c’è se al ballottaggio per la Camera vince lo stesso partito che ha già la maggioranza al Senato, il che non è scontato. Ad esempio, se nascesse domani, il Senato previsto dalla riforma Boschi sarebbe a grande maggioranza Pd (in quanto eletto dai consigli regionali quasi tutti Pd) ma se poi al ballottaggio per la Camera vincesse il Centrodestra o il M5S si creerebbe una conflittualità perenne tra Camera e Senato. Per l’efficienza, la semplicità e i risparmi, si vedano i punti precedenti.
Naturalmente la riforma è stata approvata seguendo l’iter previsto dalla costituzione: in oltre due anni, è passato per sei letture, tre per ciascuna Camera, con quasi seimila votazioni e l’approvazione di oltre cento emendamenti
E ci mancava anche il contrario! La vicenda vergognosa della sostituzione nelle commissioni di alcuni parlamentari non perfettamente allineati con il Governo, è però indicativa del clima di arroganza e di intimidazione in cui si è svolto il dibattito. Altro che spirito costituente!
È solo il PD a sostenere il SI, tutti gli altri partiti (Forza Italia, Lega di Salvini, Fratelli d’Italia della Meloni, Sinistra Italiana, Movimento 5 stelle) sono per il NO
Falso. Assieme al PD, tra i partiti, ci sono anche Alfano/NCD e Verdini/ALA; nell’associazionismo: Boccia/CONFINDUSTRIA. E non si può certo ignorare il ruolo decisivo giocato da Berlusconi all’inizio di tutta questa vicenda: oggi, con una giravolta, ha deciso di votare NO – ammesso che lo faccia… – ma in realtà è un padre della riforma, al pari di Renzi e della Boschi. Nel fronte del NO invece mancano l’ANPI, Libertà e Giustizia, la FIOM-CGIL.
Abbadia S. Salvatore, “Comitato per il No”]]>