Abbadia San Salvatore. Una fiaccola sempre accesa

Il fuoco è luce e calore di vita, non spengiamolo mai Proprio ieri notte, intorno ai primi minuti del nuovo giorno, mi addormentavo dopo aver pubblicato un articolo sulle “Fiaccole”, uno dei momenti più significativi dell’anno amiatino, ricco di significato e di speranza, nella gioia dell’avvento del Salvatore, ripensando a quel che avrei pubblicato per l’8 Dicembre, ormai domani, data simbolo dell’inizio delle festività natalizie e della costruzione delle pire. Il triste risveglio e la sensazione attonita dello sconforto che mi hanno accompagnato durante la giornata, si sono fermati con forza sulla tastiera, proprio in questi attimi, non lasciandomi alcuna possibilità di lasciare a domani i pensieri che mi arrivano quasi a tormento. Il pensiero originale per il nuovo articolo era per Giacomo, il troppo giovane Giacomo di Abbadia, che in questi giorni ci aveva lasciato un anno fa, dopo aver donato a tutti, anche a chi non lo conosceva direttamente come me, se non di vista, la gioia della vita di ragazzo, ricca di speranze e certezze nella correttezza dell’essere, come quella della sua famiglia, così equilibrata e silenziosamente segnata per sempre nel dolore. Oggi il pensiero rincorre ancora una volta chi, all’improvviso, non c’è; quasi a fermarne il momento, quell’attimo che sfugge per sempre anche se lo abbracci nell’eterno dell’addio, ancora una volta, come un babbo e una mamma, al proprio figlio. Cos’è che facciamo, cos’è, soprattutto, quel che non facciamo? Dove spargiamo il grano sbagliato, dove facciamo crescere il cibo che toglie e non dà; quale la via che indichiamo solamente ai nostri figli, senza accompagnarli almeno per un po’… O, forse, non conosciamo più la via o non la riconosciamo, pur avendola dinanzi, così coperta da un denaro sempre più artificioso, da una corsa affannata e affannosa per polmoni senza fiato, che regalano sangue inutile a un cuore che ha perso l’anima, dispersi tra sociali di reti effimere, tra condivisioni e mi piace, cinguettii e pose da distribuire a un mondo che sembra non aspettare altro da mangiare e da spendere. Cosa ci succede dentro, dove finisce il valore di ciò che ci circonda, quali lacrime innaffieranno il seme in un terreno di plastica. Una famiglia, un’altra famiglia, stringe a se una vita che non c’è più, una vita affacciata al mondo, bellissima, giovane, educata, attenta, accorta, acerba che attendeva la gioia del tempo. Una disperazione per tutti, che taglia il cuore intero di una montagna che tuona dolore, di amici adolescenti, di donne e uomini attoniti e increduli. Ricordo di aver proposto a un’amica lettrice, proprio di Abbadia San Salvatore, anch’essa madre di una vita terrena troppo giovane per andarsene, di iniziare a pensare a una “fiaccola” per chi non può più esserci, pur rimanendo. Una proposta nel segno del fuoco, luce e calore, fede e uomo, energia  e forza che per amore e rispetto mi trovo a riscrivere. Sono un babbo anch’io;  mio figlio, è passato alcuni anni fa, sul tuo stesso banco di scuola: ciao J. (Marco Conti)]]>

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