Castiglione d'Orcia. "Il Maggio", tradizione senza tempo

Tornano i canti dei “Maggiaioli” auspicando buoni raccolti Puntuale, come l’avvicendarsi dei tempi e delle stagioni, torna a Castiglione d’Orcia “Il Maggio”, una tradizione le cui origini si perdono nella notte dei tempi e possono ricollegarsi agli antichi riti propiziatori pagani in onore del risveglio della natura. Nella loro struttura attuale, invece, le quartine di ottonari che un gruppo di cantori esegue sono riconducibili nella metrica all’epoca del Rinascimento fiorentino e di Lorenzo Il Magnifico. I brani eseguiti dopo ogni madrigale (a volte dopo due) da un’orchestrina di strumenti a fiato composta quasi per iCastiglione_dOrcia_Maggiaioli_01ntero dai componenti della banda musicale locale, risalgono ad epoca più recente (la Filarmonica è stata fondata nel 1876) ed erano un tempo utilizzati anche nelle feste da ballo paesane animate dagli stessi suonatori.  Nel primo pomeriggio del 30 Aprile, i “Maggiaioli” muovono dal paese alla volta delle campagne dove, nei casolari  sparsi, fanno visita alle famiglie portando il loro canto augurale, rivolto al “capoccia”, alla “massaia”, alle “belle ragazze da marito”, auspicando buoni raccolti e che “le volpi e le faine un’accostino nell’aia”, ricevendo in cambio ospitalità ed offerte. Nella serata, e per tutta la notte seguente, il rituale prosegue da prima a Rocca e poi a Castiglione d’Orcia, dove le quartine sono in parte diverse, essendo dedicate anche agli sposi, alle giovani da maritare, alle autorità. Alle prime luci del giorno, quando “Spunta l’alba e si veste il sole, se le mette le scarpe d’oro…”, con un ultimo saluto ai Maggiaioli trapassati al cancello del camposanto, si chiude il lungo itinerare. Nei giorni seguenti i componenti del Gruppo raccolgono offerte spontanee fra i compaesani, utilizzate  per allestire una merenda collettiva, con la quale si chiude il cerchio idealmente aperto il 30 Aprile. Sbaglierebbe chi pensasse di assistere ad una delle tante rievocazioni ad uso di turisti e curiosi: il “rito”, infatti, verrebbe celebrato comunque, anche senza di loro. E’ affidata alla sensibilità di ciascuno la partecipazione improntata al rispetto dovuta verso una cosa a suo modo preziosa

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