Amiatanews (Marco Conti): Piancastagnaio 03/07/2019
Alcuni giorni fa un’attesa inaspettata di molte ore per il cambio necessario della cannula tracheostomica programmato da tempo.
Il sorriso di Mariella e della sua famiglia, mi accolgono avvolgendomi al primo passo che metto dentro la loro casa poderale, sparsa nel territorio agricolo di Piancastagnaio che si confonde tra i confini meridionali delle provincie senesi e grossetane, al di là del torrente Senna. Ci passo sopra attraverso un ponticino, dove, anche la macchina, per farsi posto, deve tirare il fiato e stringersi; un torrente noto per le sue acque inaspettatamente e improvvisamente impetuose d’inverno che, in estate, lasciano il posto a pietre che da queste parti sanno di fuoco, ricordando il cinabro dell’altro vicino torrente, il Siele, dove, fino a mezzo secolo fa, si appoggiava il luccichio del mercurio come fosse segno di lucciole ormai sparite.
Mariella, giovane 53enne, mi vuole vedere e raccontare la sua vita, quella nuova vita che sta conoscendo e che si chiama SLA; si, proprio quella, la Sclerosi Laterale Amiotrofica, dove il nome già ti entra dentro come chiodi. Troppi da queste parti la conoscono: qualcuno se l’è portato via con se, altri, troppi, se la trovano dappertutto; ogni giorno di più.
A Mariella, l’hanno diagnosticata nell’Agosto 2016; nell’Aprile 2018 la cannula tracheostomica era già dentro di lei, così come il Nutrison da 500 ml, “ricco di soia”, appeso all’asta porta flebo. Con Mariella, il marito Giovanni e i figlioli Silvia e Fabrizio. La semplicità, l’umiltà, il lavoro e l’amore: una famiglia “una”, forte e coscienziosa. Un’immagine che ti arriva addosso e ti scuote dandoti un brivido di responsabilità e facendoti sentire inutile coi tanti privilegi che invece hai. Il loro perché, ha storie non facili alle spalle; legate alla terra da dove i genitori partirono dal Sud ai tempi dell’Ente Maremma per venire in questo lembo di colline sospese, dove oggi le nuove generazioni. Una storia che, vichianamente, in altro modo, si ripete ogni giorno, con necessità apparentemente diverse.
Qualche giorno fa, dopo il necessario cambio della cannula tracheostomica, da fare ogni tre mesi a Le Scotte di Siena, a giorni e a orari programmati dai medici, Mariella era piuttosto risentita. Le sue ragioni, me le ha volute raccontare ieri, con una serenità quasi disarmante ma, anche, con il pensiero affinché quel che è accaduto non avvenga di nuovo per lei e per nessuno. Il racconto attraverso gli occhi che puntano lo speciale tablet evoluto, con funzioni di editing e la possibilità di utilizzare internet e i social, fatto arrivare “grazie anche all’interessamento del sindaco di Piancastagnaio Luigi Vagaggini“. Uno strumento che permette a Mariella di comunicare, leggere, conoscere. Un cordone ombelicale che di artificiale perde anche il senso, acquisendo connotati indispensabili e veri per chi, come lei, vive e non muove nulla e per chi, con lei, vorrebbe ancor più dare.
“Ogni tre mesi, come indicato dai medici dell’ospedale senese, devo recarmi a Siena per il necessario cambio della cannula – ci racconta Mariella – ; un piccolo intervento da fare in sala operatoria, che, normalmente, viene eseguito in una decina di minuti o poco più. Questo accade da poco più di un anno, da quando sono stata tracheomizzata nell’aprile 2018 e, normalmente, tutto è sempre andato per il meglio. Da un paio di volte, questa programmazione è come se avesse subito dei contrattempi o, almeno, l’impressione che ho avuto è questa. In particolar modo, l’ultima volta, il 25 giugno, i disagi non sono stati pochi. L’appuntamento, concordato come sempre, era per le 12. Portata in ambulanza dalla Misericordia di Piancastagnaio, io e la mia famiglia, siamo arrivati a Siena intorno alle 11.30.”
Una giornata iniziata presto dobbiamo dire; in questa situazione, bisogna far pianino e il viaggio è lungo per le strade trafficate e non scorrevoli che dall’Amiata vanno verso Siena, per di più in una giornata troppo calda per la fine giugno. Quasi due ore per percorrere circa 90 km.
“In sala operatoria c’era un intervento, anch’esso programmato, iniziato sin dal mattino presto – prosegue Mariella – ; questo mi ha fatto pensare con dispiacere e apprensione per le condizioni di chi stavano operando e ho capito che bisognava probabilmente attendere ancora un pochino. Sicché, sdraiata sulla lettiga dell’ambulanza in quella che chiamo la “sala parcheggio pazienti” (quella di attesa per la sala operatoria ndr), ho atteso il mio appuntamento sperando per tutti di far presto, anche perché, il caldo nell’ospedale era sempre più opprimente visto che l’area condizionata non funzionava. L’attesa, invece, si è prolungata e non di poco – continua nel racconto Mariella – . Le ore son però passate; dalle 12 come mi era stato indicato, sono riuscita a entrare in sala operatoria intorno alle 18.30, dopo aver atteso per ore sulla lettiga dell’ambulanza con tutte le conseguenze e problematiche del caso. Basti pensare alle necessità primarie, quelle igieniche e il disagio che si somma alla mia situazione, ancor più problematica visto che problematica del diabete, sopraggiunta durante questi anni di SLA. Un disagio che si è andato a sommare al viaggio del mattino, al caldo e a un ritorno a casa sempre più tardo. Non una bella situazione, inaspettata.”
Tante ore. Troppe. Su una lettiga d’ambulanza, immobile senza poter fa nulla. “Non vogliamo in alcun modo colpevolizzare nessuno, vogliamo semplicemente raccontare un disagio che, in qualche maniera, ci ha sorpreso; soprattutto perché si tratta di interventi programmati, di breve durata e ben gestibili – ci dice il marito Giovanni, caposquadra scelto dei Vigili del Fuoco del Distaccamento senese di Piancastagnaio, assieme ai figli Silvia e Fabrizio -. Comprendiamo situazioni altrettanto importanti come, ad esempio, un intervento chirurgico con carattere d’urgenza. Questo episodio deve, comunque far pensare un po’ tutti al futuro, a coloro che, come Mariella, si trovano in condizioni di salute difficile. Un malato di SLA vive la giornata cadenzata da delicati ingranaggi che non devono avere inceppi; tra questi la gestione del tempo. Tutto deve avere una corretta cadenza così da organizzare la vita di del malato che, ricordo, non parla e non si muove. Siamo certi che, anche i responsabili della struttura senese comprendano le nostre parole; che in futuro, situazioni programmate come questa, possano essere gestite da parte di tutti nella maniera più opportuna. Tutti dobbiamo impegnarci nel fare la cosa migliore per chi soffre, avendo la giusta comprensione. Ci auguriamo, dunque, che le nostre parole vengano comprese sotto questo aspetto così come ancora una volta testimoniamo la fiducia verso i medici de Le Scotte, appartenenti alla nostra ASL”.
Un appello, una speranza, un contributo a migliorare pensando anche agli altri. Questo nelle parole di Mariella e della sua famiglia, senza mai alterazione ma con la giusta pretesa per un’aspettativa legittima.
Vivere questi momenti, con persone che conosci e ti stimano, ti rende più vero, più uomo, più sincero, più libero. Ti aiuta a comprendere, a capire di vivere non solo la tua ma anche l’altra vita attraverso l’importanza della partecipazione e dell’impegno da parte di tutti. “La prossima volta a Le Scotte, andrà tutto bene”, questa la convinzione.
Me ne torno dall’altra parte della valle, con in basso le estese serre di Floramiata e le fabbriche di Casa del Corto. Mi fermo e guardo a nord ovest il “monte”, l’Amiata. Respiro l’odore della mietitura e dei pascoli ovini. Poi, scorro sul mio smart phone , le foto scattate con Mariella e penso a quanto sia fortunato e ingrato.
Sono entrato in una dimensione nuova, dove l’anima si unisce alla malattia e dove il cuore batte a ritmi diversi. Ci si ossigena dell’inutile, della solitudine, del giudizio e delle mani chiuse. Questa storia mi ha fatto vedere un fiore in deserto e ricordare anche gli altri.