Amiatanews: Amiata 15/07/2019
Appuntamento con con Don Carlo Prezzolini, e le sue riflessioni riprese dalle pagine web del sito da lui ideato, “Il piccolo chiostro” (www.ilpiccolochiostro.it), nome della piccola chiesa da lui guidata.
Di Don Carlo Prezzolini (Toscana oggi – Confronto Giugno 2019)
Abbia ad esse un titolo un po’ lugubre? Mica farà diminuire qualcuno dei miei appassionati lettori? Lo potevo addolcire parlando di perdita, di chi ci lascia, di scomparsa, di chi torna nella casa del Padre, come si legge sempre negli annunci funebri?
E invece ritengo che questo nascondere anche la parola morte sia molto significativo del tentativo che da anni la nostra civiltà sta cercando di portare avanti per mettere da parte questo nostro limite di fondo, costitutivo di tutte le persone, cercando di farmi illudendere che io posso non morire, che la morte non mi riguarda. Gli altri spariscano pure, ma io no, non posso: consumo, ciatto, uso i nuovi mezzi informatici per comunicare sempre e con chi mi pare, creando una nuova dimensione di individualismo personale e di gruppo, quindi non posso sparire! Non posso morire!
Ritengo sia uno degli errori, dei limiti più banali e più pericolosi della nostra società consumistica, perché negare la morte rende la vita di una povertà enorme.
Mi sembra significativo, inserito nel tentativo di negare la morte, l’innaturale allungamento della vita: si vive sempre di più ma sempre peggio negli ultimi anni, violentati spesso da un orribile accanimento terapeutico. Si muore in ospedale o in casa di riposo, quasi nessuno muore più in casa. I funerali si fanno sempre più quasi di nascosto, magari negli obitori o nelle cappelle dei cimiteri e non nella chiesa parrocchiale. I cortei funebri poi non ci sono quasi più non solo nelle città ma anche, sempre più spesso, nei nostri piccoli paesi: interrompono il traffico, non si possono fare! Quando ero piccolo mi ricordo che i funerali nel mio paese, Abbadia San Salvatore, erano molto significativi: erano sempre a piedi, con gli uomini della Misericordia, vestiti di nero, che accompagnava il morto a piedi, dalla casa del defunto alla chiesa parrocchiale e poi al cimitero, con i negozi che quando passava il corteo, per rispetto, abbassavano la saracinesca. Oppure quelli civili si facevano alla casa del popolo, con tanto di commemorazione. Altri tempi, passati …
Oggi si ricorre sempre di più alla cremazione, pratica giustamente ammessa anche dalla Chiesa. Il problema però è che cresce il numero di chi vuole che le sue ceneri siano sparse nei boschi o nel mare e che aumenta anche il numero delle famiglie che tengono l’urna con le ceneri in casa: ma così perde importanza il cimitero come luogo comunitario della memoria, e, nel secondo caso, non si elabora il lutto, forse nella illusione che il caro defunto sia sempre con i suoi anche fisicamente.
E invece i funerali sono, dal punto di vista cristiano ma anche umano, civile, molto importanti: ricordiamo il defunto, gli dimostriamo il nostro affetto, siamo vicini, solidali con lui e con i suoi cari che soffrono, lo salutiamo e, nei funerali cristiani, lo affidiamo al Signore, nella speranza che gli abbia preparato una dimora nella casa del Padre, come Gesù ci ha promesso nella Santa Cena (Vangelo di Giovanni 14,1-3).
Negli ultimi tempi ho partecipato ad un funerale civile della moglie, appena cinquantenne, di un amico, morta dopo una dura battaglia per la vita sostenuta dall’amore della famiglia. Ho scoperto un problema che non mi ero posto: per mancanza, o non disponibilità, di luoghi al coperto i funerali sono stati fatti in un giardino privato. Per fortuna il tempo era decoroso. Penso che i Comuni, con le Misericordie e le imprese di pompe funebri, debbano provvedere a luoghi idonei per funerali civili o di persone di altra fede religiosa, sempre più numerose anche nei nostri paesi.
“Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio” canta il Salmo 90, al versetto 12, invocando il Padre creatore: insegnaci a comprendere che non sono eterni, che i nostri giorni sono limitati e che non vanno sprecati, vanno impegnati per crescere nell’amore e nella gioia, nella consapevolezza della nostra unicità come figli prediletti di Dio e anche dei nostri limiti. Vanno impegnati, i nostri giorni limitati, nel cammino per comprendere che tutti i membri l’umanità, tutte le creature sono figli prediletti del Dio Padre di amore compassionevole, come ci insegna con la vita, con le parole e le opere il Signore Gesù.