Amiatanews (Marco Conti): Piancastagnaio 10/02/2020
Pompilio Paganini fu arrestato a Fiume nel Maggio del 1945. Con lui altri quattro senesi non tornarono più a casa.
Il 10 Febbraio è il “Giorno del ricordo”, in cui si commemorano gli italiani uccisi nelle foibe, le profonde cavità carsiche di origine naturale, situate prevalentemente nell’Istria dove, tra il 1943 e il 1947, furono gettati con metodi atroci (vivi e morti), circa diecimila nostri connazionali a seguito di una vera e propria pulizia etnica voluta dal Maresciallo Josip Broz Tito, frutto di vendetta e odio politico-ideologico per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti.
Anche Piancastagnaio rivolge il proprio pensiero verso un suo “figlio”, Pompilio Paganini, anch’egli ritenuto vittima nel 1945 di questa atrocità, dopo che fu arrestato nel Maggio del 1945 a Fiume, nei giorni della presa della città da parte delle truppe guidate dal Maresciallo Tito. Si pensa che la salma possa essere essere nella foiba di Scadaicina o in quella di Obrovo o in quella di Casserova, tutte vicino alla città di Fiume. Dall’arresto nessuna più notizia di lui.
“Così come per gli altri episodi che hanno segnato la storia della nostra nazione e nello specifico anche della comunità di Piancastagnaio, l’Amministrazione Comunale vuole ricordare oggi questa tragica vicenda che ha coinvolto complessivamente decina di migliaia di italiani che vivevano nelle terre dell’Istria e della Dalmazia tra il 1943 e il 1945. Il 10 Febbraio, giorno del trattato di Parigi del 1947 stabilì i confini tra le due nazioni ma la tragedia delle foibe rimane una ferita e una vicenda ancora da conoscere ancor più a fondo”.
Di professione ferroviere, Pompilio Paganini era nato a Piancastagnaio, all’alba del 30 Settembre del 1899, nella Contrada di Borgo, in Via della Pergola. Figlio di Tito Paganini e Agnese Ponzuoli, ebbe tre fratelli (uno deceduto pochi giorni dopo la nascita) e una sorella.
Lo scorso anno Pompilio fu ricordato anche dal Comune di Siena, assieme a Andrea Bianchi, Sugarelli Isolina Micheli in Turchi, Mario Fanfani e Agostino Saletti, anch’essi vittime delle foibe. Su di loro anche un rcordo-racconto pubblicato nel 2013 sul Corriere di Siena
—- breve approfondimento ——
“La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Così il primo comma del primo articolo della Legge n°92 del 30 marzo 2004 (chiamata anche “Legge Menia”, dal nome proposta dal deputato triestino Roberto Menia), la quale ha istituito il “Giorno del Ricordo” da celebrarsi il 10 Febbraio di ogni anno, ricordando lo stesso giorno del 1947 quando a Parigi fu firmato l’armistizio che definiva i confini tra Italia e l’allora Jugoslavia.
Ricordiamo che dopo la I^ Guerra Mondiale, dal 1918 al 1943, la Venezia Giulia e la Dalmazia furono amministrativamente italiane, ma oltre la metà della loro popolazione era composta da sloveni e croati. Inoltre va anche ricordato come la città di Triesta tornò a essere italiana solo nel 1954.
Il 10 Febbraio, vuole dunque conservare e rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».
Una vicenda per lo più oscurata per cinquant’anni riportata alla luce e ricordata attraverso un giorno significativo, il 10 febbraio, . Un ricordo dovuto al nostro concittadino e ai suoi familiari, che ha coinvolto anche altri cittadini della nostra provincia”.
Una triste storia messa per lo più a tacere per circa un cinquantennio, la quale racconta orrori ancora presenti nei sopravvissuti e negli esuli italiani di quelle regioni, vittime di una vera e propria pulizia etnica, con torture, massacri e la soluzione finale nelle foibe iniziata in Istria e in Dalmazia, subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943 e di una violenza ancor più atroce perpetrata nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupò Trieste, Gorizia e l’Istria con le truppe del Maresciallo Tito. Esse “si scatenarono contro gli italiani e fecero cadere dentro le foibe fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini”, così come raccontato da Graziano Udovisi, l’unica vittima del terrore titino che riuscì ad uscire da una foiba. “Una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione proseguì fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’italia e la Jugoslavia”.
Il 10 Febbraio è stato dunque scelto proprio ricordando lo stesso giorno del tratto di Parigi (1947), che, di fatto, consegnò alla allora Jugoslavia l’Istria, Fiume, Zara e le isole dalmate, dando a Belgrado il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, che avrebbero dovuto essere indennizzati dal governo di Roma.
Credo non possa esserci il “giorno a ricordo” per le foibe, finché non ci sarà luce vera a far divenire giorno, la notte ancora presente.
La scura terra ha assorbito il pianto,
la pioggia ha lavato il sangue,
i corpi esanimi giacciono rannicchiati
nella fossa di terra.
Tutto è fermo al grido di dolore.
Delle mani stringono le zolle,
le robe inzuppate e sporche.
Gli occhi sono fermi all’ultima luce,
atterriti dall’inumano destino.
Tutto è fermo nell’ora della morte.
Le mani assassine bruceranno in eterno!
Tra le membra e le corde
una piccola croce d’argento brilla…
nella pietà eterna il grido di dolore è spento,
è fuori dalla fossa,
è nell’amore dell’Eterno.
Giovanni Teresi