Piancastagnaio. Le 100 candeline di Egle, donna dalla semplice bontà

Ancora una centenaria sull’Amiata. Sono quattro in poco più di un anno solamente a Piancastagnaio.

Sarà Egle Guidotti, la prossima “nonna” pianese a spegnere domani le 100 candeline della sua vita. Un’altra centenaria sull’Amiata, che sembra, talvolta o spesso, contraddire le tante statistiche che continuano, ogni volta, a suscitare discussioni. In questo caso, almeno, c’è ben poco da discutere. A Piancastagnaio, volendo rimanere nel paese di Egle, sono già quattro le “ragazze” che hanno festeggiato un compleanno così speciale e, l’Amministrazione Comunale, sarà, anche questa volta, ben felice di regalare la propria presenza ed il cordiale omaggio a ricordo.

Egle Guidotti, mi ha accolto accanto alla sua sedia, quasi a guardia di quel che succede “di fori dal vetro”, assieme alla sorella Elma, che chiameremo Irma, come d’abitudine, alle nipoti Marisa, Anna, Franca, Giuliano, Florida, Giuseppe al “nipote-figlio” Mario ed alla badante Elena che dal 2009 si prende amorevolmente cura della “padrona di casa”. Simpatica, sorridente, curiosa ed intrigante, Egle, mi racconta un po’ della sua vita, con il piglio di colei che torna al passato col cuore e coll’anima, ma sempre con lo sguardo al futuro. Una vita trascorsa tra Roma e Piancastagnaio; cresciuta nella semplicità di una casa amiatina di inizio secolo, assieme alle sorelle e fratelli; sei in tutto: Irma, Fidalma, Leonida, Rita, Giacomo e, appunto, Egle. Di tutti, solo Irma, di quattro anni più giovane (credetemi… una ragazza), è rimasta con lei, in vita, come a proseguire un cammino dove le loro mani, continuano a stringersi in un percorso che le ha viste sempre profondamente legate nell’affetto di due donne semplici e buone. Egle ed il suo povero marito Domenico, che l’ha lasciata, ottantenne, una ventina di anni fa, non hanno avuto figli; la natura aveva deciso così per loro e questo, Egle, come ci ha raccontato, è stato ed è motivo di sofferenza ancor oggi, ma non motivo di divisione per un amore che li ha portati ad aprire il cuore per il loro nipote Mario, che, rimasto senza genitori da piccolo, fu accolto come un figliolo dalla zia Egle e dallo zio Domenico, “Meco” come si dice da queste parti, fratello di Filippo, babbo di Mario. Un gesto voluto e non dovuto, che ha portato una coppia sola, ad avere quel bambino, se non da nascere, da crescere e farlo divenire uomo, con le attenzioni del babbo e la bontà e la pazienza di una mamma, ancor oggi la stessa nei confronti del nipote 55enne.Piancastagnaio_Egle_Guidotti_100_anni_WP_20160303_019 E’ lo stesso Mario che mi racconta la sua crescita con Egle e lo zio Meco: “Non sono i miei genitori naturali, la vita me li ha tolti troppo presto – ci racconta emozionato “Mariuccio” – ma l’amore che mi hanno dato, il rispetto ricevuto anche per questa situazione, sono stati sentimenti più che materni e paterni. Sono qui grazie a loro. Ricordo come ora quando Egle ed il povero zio Meco, decisero con Don Zelio di farmi stare nella loro casa; i miei zii non vollero andassi in un istituto, un orfanatrofio… chissà cosa sarebbe stato di me. Saranno sempre con me. La zia Egle, come una mamma, che compie 100 anni, è per me un dono e mi rende felice per lei, che mi ha sempre difeso da ragazzo, anche quando, facevo qualche marachella. Oggi sono un uomo, grazie ai miei zii.” Anche la nipote Marisa, figliola dell’altra sorella di Egle, Fidalma, mi dice del suo bel rapporto con la Zia Egle e di “come il nostro vivere familiare, sia stato sempre caratterizzato dalla cordialità. Tutti siamo sempre stati uniti, in un clima di cordialità, lontano da gelosia e personalismi”, tiene , orgogliosamente a precisare ripercorrendo il tempo passato.

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La sorella Irma, silenziosa ma con la giusta voglia di parlare, mi guarda ed inizia a raccontare, senza tradire la sua emozione. Irma, una donna sempre al fianco della sorella Egle, così come i rispettivi mariti, Mario e “Meco”, sia negli anni passati a Roma che in quelli di Piancastagnaio, la loro casa naturale. Irma mi racconta di come “la sorella sia stata sempre disponibile, anche nei lavori di casa”. Ricorda le “feste natalizie e di come fosse un momento felice dello stare insieme. Nella nostra vita, nel nostro rapporto, mai gelosie. Siamo sempre state unite e lo siamo ancora di più oggi. Pochissimi anni tra di noi; ringrazio Dio per avermi dato questa forza e di averla data alla mia sorella. Siamo noi, dobbiamo essere felici e domani, per il suo compleanno, lo saremo ancor di più quando festeggeremo con una bella merenda in un ristorante di Piancastagnaio!” Non potevo non osservare Elena, la signora romena, che fa servizio nella casa di Egle, che, con educata discrezione, mi sorride e mi dice: “Non posso che essere contenta per i 100 anni di colei che mi ha permesso di lavorare, dandomi affetto e molta indipendenza. Una donna che mi ha sempre data fiducia, mi ha sempre rispettata e non mi ha mai fatto mancare nulla. Egle è ancora una donna forte, facciamo ancora delle passeggiate e vuole tutta l’indipendenza che le è necessaria. La ringrazierò per sempre.”

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E’ giunto il momento di una foto, non di una foto ricordo, ma di un’immagine da regalare a Egle, ai suoi familiari, ai loro amici e, in fondo, un po’ a tutti. In un mondo controverso e difficile di una società ambigua, ricevere affetto,  anche da chi, poco ti conosce e ricorda, aprendogli la casa ed il cuore con la semplicità della bontà, è un dono da conservare comunque e su cui riflettere. Me ne sto per andare, chiedendo alla “nonna” Egle se avesse ancora da dirmi qualcosa. L’abbraccio con il suo “Mariuccio”, le lacrime per il ricordo di “Meco”, sono le parole più belle, di una donna ancora caparbia, bella nella sua minuta statura e ricca nel bacio e nel sorriso con cui mi dice, come tutti da queste parti: “Di chi sei?! … Fai il bravo!”. Auguri Egle. Grazie.

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