Una serata e una nottata magiche dedicate da Voltaia al suo popolo. Un regalo fatto con correttezza e semplicità alla comunità pianese, anch’essa rispettosa per la vittoria della Contrada di Via XX Settembre del Palio 2016. I colleghi Eleonora Mainò e Giuseppe Serafini, volendomi paragonare alla loro bravura, mi hanno dato una bella responsabilità stanotte: quella di dover scrivere, dopo i loro articoli, le mie impressioni sulla Cena della Vittoria di Voltaia, la mia Contrada. Si, lo dico subito, Voltaia è la mia Contrada; il territorio dove vivo, dove viveva e vive la mia famiglia e quella dei nonni materni. Ma anche quella delle zie e degli zii del babbo e della mamma che, in Via XX Settembre, mi hanno ospitato più volte, sostituendosi alle nonne di cui per pochissimo ne ho sentito il calore. Ma se responsabilità dev’essere, inizio il racconto dalla fine, dall’immagine stupenda che questi giovani, divenuti uomini, mi hanno donato, lanciando le undici piccole mongolfiere di carta verso il cielo. Undici come i Palii vinti dal 1979, con l’anno impresso sopra, a illuminare il cielo di una Piancastagnaio, anche quello di coloro che, consapevolmente, hanno scelto di non partecipare, con verbo e presenza, lasciando segno alcuno nella festa. Ogni anno ad accendere e volare con serenità in cielo; anime e cuori di vittorie Voltaiesi ma, soprattutto, tanti ricordi, tante donne e uomini, che, in ogni anno, hanno salutato la Contrada sulla terra, ripresentandosi, come un dono di Maria e Francesco, ai propri familiari e amici, così come anche ricordato dal Priore Alessandro Ascone nel suo discorso. Io li ho visti tutti, nelle fiammelle che spingevano con il proprio calore, queste undici anime bianche in volo. Ed ho asciugato le mie lacrime sopite e visto quelle espresse da mio fratello Nazzareno, che faceva volare proprio quella mongolfiera con l’anno 1991 che un destino benevolo gli ha voluto dare. Allora ho pensato a quel Palio, alla mamma, a Daniele che ancora lo porta in Sede con forza e commozione, sostituito, altro destino celeste, dal mio figliolo Francesco in questi anni.
Parto proprio da qui, dalla fine, per riavvolgere il mio percorso che mi riporta al Chiostro del Convento di San Bartolomeo, luogo splendido e storico per la Festa e dell’affermazione di un popolo vincitore e vinto solamente e, scioccamente, da se stesso. E’ arrivata Cecilia, beh…si, la Rigacci, autrice del Palio entrato in Contrada la sera del 18 Agosto, grazie allo splendido lavoro della Capitaneria e della Dirigenza Voltaiese, dalla prestazione di Giosuè Carboni, dal lavoro e il rispetto di Valter Pusceddu e di una stalla magnifica. La prima cosa da fare, più di ogni altra, è andare alla Comunità della Resurrezione, dallo zio Don Zelio o Azzelio (come si dice da noi) Vagaggini, per un saluto e un ringraziamento da parte di Cecilia e di suo marito. Intuivo e, in fondo sapevo, quel che ci avrebbe accolto, ovvero il calore dell’amore, dell’umiltà e del vivere un’esistenza aperta al prossimo. Le parole di Don Zelio, un pieno di educazione, di rispetto, di emozionante semplicità con cui ha iniziato a descrivere l’opera di Cecilia, hanno dato l’effetto di far parte del dipinto, come a essere io, noi il bimbo preso per mano e accompagnato nella sua crescita infinita, verso la luce del bene e della bellezza del bene. E’ questo il Palio che sarei andato a festeggiare da lì a poco, combattuto tra il volerlo fare subito, correndo nella terra francescana del Convento, e il voler restare lì, a farmi quasi beatificare dalle parole dello zio, che sempre più sembravano beatitudine dell’uomo di Assisi. E, mentre parlava, guardavo gli occhi di Cecilia, di suo marito e dei suoi cari amici, sospesi tra le sensazioni ricevute. E’ questa una delle essenze del Palio, segno del tempo in movimento, come il cammino della dolce Madonna di San Pietro, che, tornata donna, accompagna il suo bimbo, la vita, in un cammino terreno verso l’infinito dell’amore, cibo ed acqua, essenza della vita. Non poteva che essere una carezza, dalle mani di un prete vero che ha dato per 91 anni e molto dovrà dare, il saluto e l’augurio per la Festa che, di lì a poco, dopo i saluti alla Casa, ha iniziato i suoi ritmi incalzanti, come essere a una nuova “mossa” e a una nuova “corsa” da godersi in famiglia, partendo e arrivando tutti assieme.
E così è stato, una Festa e, dunque, bisogna pur brindare con un vero prosecco d’eccellenza, tra decine di giovani (noi) e ancora più giovani, seduti a un tavolo tondo, come i cavalieri dimezzati di Re Artù. Chiacchiere, spettegolezzi, curiosità, “serie parole” a condire una soppressata toscana di cinghiale, divenuta regina assieme al vino e al sorriso. E’ festa e festa dev’essere, sicché, “un c’importa”… contenuti, ma festanti, o, almeno appare, visto che l’incontro appena avuto ha lasciato il segno. Nel locale, anche uomini e donne di altre Contrade, a parlare fra se, in maniera serena, consapevoli di un Palio che di lì a poco, avrebbe celebrato la conclusione di un anno paliesco importante per tanti motivi. Ma su questo ci torneremo più avanti. Accanto, il buon Carboni, col Pusceddu, il Martelli e il Pisanu (veterinario e maniscalco) e il Capitano Alessandro Conti, coi fidi Giulio Agnorelli e Alessio Magini, con tante giovani ragazze che fioriscono ancor di più in queste occasioni. Il tempo scorre e richiama all’ordine: tutti al Convento, nel chiostro, per la Cena della Vittoria e, dunque, a piedi o in auto, si va a poche centinaia di metri più in su. L’arrivo è quantomeno degno di una serata dedicata a una vittoria, anzi, non alla Vittoria, quella del Palio. Mentre mi avvicino all’ingresso del Chiostro, prima che mi si apre dinanzi con la sua semplice bellezza francescana, con le sue colonne dissimili a tenerne il tetto dalle travature di castagno, mi viene in mente una delle (poche) frasi latine che un distante liceo mi ha consegnato, quasi a preludio dell’immagine che verrà regalata nella notte dalle undici mongolfiere: “nos exaequat victoria caelo“. E’ un “luogo magico”, un “simbolo della storia di Piano”, come hanno scritto Eleonora e Giuseppe negli articoli: accidenti… è proprio vero! E’ la magia che ti avvolge e che cancella i miei forti dubbi alla vigilia nel non essere nelle vie della mia Contrada. Ma tutto si equilibra in un attimo, perché le pietre, le travature, i suoni, la calma, l’essere raccolti, mi fanno sentire in Contrada. Addirittura, quasi alle Fonti di Voltaia, più piccole, ma nella forma geometrica, negli archi e nelle pietre simili. (Che sia, finalmente, motivo di gioia futura per poterci festeggiare, senza paura del diritto di confine, mi auguro tra me e me, dopo averlo da anni detto e scritto). Duecento commensali circa per una festa in Famiglia, senza eccessi, sobria, semplice, intima, frutto di una storia e di un atteggiamento di Contrada che si fa sempre sentire con decisione garbata, che propone e non si oppone, che apre e non chiude, che parla e non rifiuta la parola altrui. Che è presente e non assente, che dona a Piancastagnaio quel che può senza particolarmente chiedere da sempre. E’ la sua storia, non saranno fugaci apparenze a turbarne una considerazione spesso muta e conservata a tesoro. Comincio a perdermi qualcosa… pezzi di casa, il direttore del giornale Giuseppe e la mia doinna di Palio Eleonora. Mi perdo anche “la Rigacci” e l’amica Stefania già imbacuccate per un freddo che, col mio andirivieni, ho trasformato in un sudore dal caldo estivo. E mi tocca anche correre di più per non perdermi quell’ingegnoso scrittore (mi fa le scarpe tutte le volte…accidenti a lui), di Alessandro Melis, che, ogni volta, ti prepara un discorso da brividi. Stavolta ci ha dato dei “folli”, anzi, ci ha proprio deto più volte “Siete folli!”, quando, dopo aver chiamato uno per uno tutta la Dirigenza al suo tavolo d’onore nell’angolo più bello del Chiostro, sotto il campanile e accanto al pozzo in fatto di pietra pianese, s’è messo come “un folle” a raccontare le sensazioni che la Contrada dona, dalla casa di Via XX Settembre al momento della corsa, raccontando una miriade di sensazioni con, in fondo, poche parole e, mentre parlava della verità del Palio e della Contrada, undici bellissime ragazze, formavano un quadrato di undici luci, candele accese. La luce, disegnata da fiammelle di eternità e di pace, a raccontare le Vittorie e la Contrada; la luce che diviene la cifra “11”, che ricorda il vero. Simboli, quasi una sacralità, quasi un altro segno preso dal Palio, dalla luce dipinta nel cencio, nel panno o nella “bandiera” come qualche centinanio di anni fa, si chiamava a Piano il simbolo del vincitore. Intorno, il silenzio, come essere a quelle 18:30, come nelle parole di Alessandro, quando i cavalli sono sulla terra e prossimi a partire. Grazie. La serata scorre ancor meglio, tra cori, canti, le mie (quasi) interviste e discorsi mai di convenienza, come le parole del Priore, Alessandro Ascone, che, rotto dall’emozione, rivolge il suo saluto alla carica, dopo sette anni di primaria importanza per la Contrada, al di là delle vittorie e non solo del Pali. Un saluto che ricorda come la Contrada si pone verso le istituzioni (Magistrato e Comune principalmente)e verso le altre Contrade Pianesi, con la fermezza della proposta, col dialogo e mai con la chiusura. Così come lo stesso Difensore Matteo Farnetani, sempre più importante nella Dirigenza, ha voluto ricordare nei mesi di sua presenza all’interno del Magistrato delle Contrade. Lo stesso Capitano, Alessandro Conti, ha voluto ricordare come una Capitaneria vincente e allo stesso tempo giovanissima, sia il risultato di un lavoro che parte da lontano, dalla fiducia ricevuta da tutta la Contrada che lo ha scelto in uno dei momenti di transizione più delicati di Voltaia, che aveva perso quel “essere Contrada” e quel “fare Palio”, logica conseguenza. Discorsi solo apparentemente di forma ma dalla compatta sostanza, quella disegnata dai Contradaioli seduti tra i tavoli, ricalcando quella quadrata del Chiostro: “Sub quercu Viribus Unitis”, non è un caso che ieri sera si sostituisca al “fare quadrato” per un “conprimat ordinibus” vincente. Il buon Carboni, lo ha confidato, non se l’aspettava una Contrada così; l’amico Valter, Voltaia, la conosce da sempre, da quando, (quasi) diciottenne montò su un cavallo con un coraggio “da folle” (anche lui…). Il fantino sardo, chiamato dal Capitano Conti un mese prima del Palio, ha dovuto metterci del suo correndo più di un Palio, almeno due: uno, quello “vero”, l’altro, perché entrava in Via XX Settembre da dove poco prima era uscito il collega Silvano Mulas, vincitore dei due Palii vincenti prima di quello 2016. E “Carburo”, non s’è certo nascosto dietro a un dito, ricordandolo: un gesto di umiltà importante e, anche per questo, ha vinto. Ed ecco che, dopo il tanto fare, dopo che tante belle frasi come “avranno anche il diritto di festeggiare e riposarsi”, arrivano le vincitrici del Palio di tutti gli anni, quelle “donne di Contrada”, nonne, mamme e mogli, che proprio non ne vogliono sentir parlare di starsene sedute a godersi la serata. Anche loro tante chiacchiere per poi ritrovarsi, tutte, tra tegami, teglie, forni, acque bollenti e le chiacchiere da cucina molto simili a quelle di quando si lavavano i panni alla fonte. Donne speciali, che ogni, a dire il vero, ogni Contrada ha il pregio di avere, ricordate (quasi) sempre alla fine di delle serate che, non si fa un tempo a correre e sfilare nei giorni del Palio, che te le trovi già ai fornelli in un batter d’occhio. Anche loro nel Palio di Cecilia; là! La serata se ne sta andando tra il dolce, il brindisi e i primi abbracci di saluto. Poco prima, un piccolo regalo di Eleonora che ha la bizzarra idea, quanto inaspettata, di intervistarmi dietro le quinte, tra la curiosità dei ragazzi del tavolo a loro riservato, ha il senso del commiato a un anno paliesco dove s’è lavorato con passione, scrivendo e raccontando, anche assieme a Giuseppe Serafini, quest’essenza della nostra vita: il Palio. Ed eccoci, “baci e abbracci di saluto” per chi tornava a casa in posti più lontani. “A presto… Ciao… Saluta, mi raccomando…”. Ci penso un po’ e mi viene in mente che a Gennaio si riprende con Buti, il che vuol dire che non ci si ferma: meglio! Non faccio in tempo a salutare, che mi volto e vedo undici Vittorie, undici anime che rappresentano Voltaia, illuminare la notte, a ricordare agli assenti, la bellezza dell’esserci e di vivere la terra pianese. Grazie a tutti. [gallery columns="6" link="file" ids="24041,24042,24060,24045,24037,24039,24046,24047,24036,24035,24034"]Il video della sola corsa (immagini Amiatanews e Tele Idea di Chianciano Terme) ]]>